Si è fatto un gran parlare negli ultimi giorni di antipolitica e demagogia: la causa scatenante del dibattito è Grillo, ma a ben vedere ciò che è lui oggi lo è stato ieri Berlusconi, nei modi e nei contenuti, e quindi fa un po’ ridere vedere oggi tutti i nostri esimi dirigenti stracciarsi le vesti contro la demagogia dopo averla covata per anni e anni permettendo che arrivasse a un passo dal farci fallire.
Considerato però questo, è davvero il termine esatto, antipolitica? Quando l’antipolitica si fa politica, entra nel sistema, si dota di un programma e di obiettivi, può davvero essere relegata in un cantuccio della vergogna, comodo solo ad evitare di affrontare il problema? No ovviamente, anche perché il problema qui non è tanto l’antipolitica, quanto il populismo. E quello, purtroppo, è comune a Silvio Berlusconi e Beppe Grillo: si parla di leader qui, non di partiti o movimenti, ma è pur vero che senza leader non esiste un seguito – come vi direbbe Gustave Le Bon – e movimenti e partiti nascono dal carisma di un Uno, o almeno così è successo in Italia negli ultimi 20 anni.
Un interessante articolo di Jan-Werner Müller su Die Zeit cerca di fare chiarezza sulla questione, analizzando l’avanzata di alcuni partiti in particolare in Europa. E ricorda a tutti il concetto di populismo e i suoi rischi: populista è colui il quale si auto-elegge come difensore del popolo tutto. L’uomo che si sente investito del dovere di raddrizzare i torti e imporre il giusto. Anzi, ciò che lui ritiene giusto e quindi quello che – nella sua ottica – è volere popolare. Il populista costruisce la sua fortuna sulla paura (o l’odio) verso un nemico comune, e come sempre, divide et impera. Ma in questo diventa anche illiberale, poiché essendo lui il detentore dell’assoluta verità (quella del popolo), nulla gli si può obiettare. E chi non è con lui, è contro il popolo. Insomma, il populista è quello che crede di possedere la verità, e guarda a chi non è concorde come un nemico, da zittire o eliminare. A ben vedere, siamo ancora un popolo populista, che sceglie leader populisti e loro segue felice fino alla fine. Tanto valeva, allora, tenersi Berlusconi: almeno, faceva ridere.
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Considerato però questo, è davvero il termine esatto, antipolitica? Quando l’antipolitica si fa politica, entra nel sistema, si dota di un programma e di obiettivi, può davvero essere relegata in un cantuccio della vergogna, comodo solo ad evitare di affrontare il problema? No ovviamente, anche perché il problema qui non è tanto l’antipolitica, quanto il populismo. E quello, purtroppo, è comune a Silvio Berlusconi e Beppe Grillo: si parla di leader qui, non di partiti o movimenti, ma è pur vero che senza leader non esiste un seguito – come vi direbbe Gustave Le Bon – e movimenti e partiti nascono dal carisma di un Uno, o almeno così è successo in Italia negli ultimi 20 anni.
Un interessante articolo di Jan-Werner Müller su Die Zeit cerca di fare chiarezza sulla questione, analizzando l’avanzata di alcuni partiti in particolare in Europa. E ricorda a tutti il concetto di populismo e i suoi rischi: populista è colui il quale si auto-elegge come difensore del popolo tutto. L’uomo che si sente investito del dovere di raddrizzare i torti e imporre il giusto. Anzi, ciò che lui ritiene giusto e quindi quello che – nella sua ottica – è volere popolare. Il populista costruisce la sua fortuna sulla paura (o l’odio) verso un nemico comune, e come sempre, divide et impera. Ma in questo diventa anche illiberale, poiché essendo lui il detentore dell’assoluta verità (quella del popolo), nulla gli si può obiettare. E chi non è con lui, è contro il popolo. Insomma, il populista è quello che crede di possedere la verità, e guarda a chi non è concorde come un nemico, da zittire o eliminare. A ben vedere, siamo ancora un popolo populista, che sceglie leader populisti e loro segue felice fino alla fine. Tanto valeva, allora, tenersi Berlusconi: almeno, faceva ridere.
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domenica 13 maggio 2012
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